FELICITA’ NEL DNA

Felicità nel DNA

Ne sono consapevole, oggi mi addentro in un argomento spinoso. Inizio un percorso su un campo minato, ma lo faccio consapevolmente.

Forse non avrei mai azzardato un argomento così difficile se non avessi pubblicato un post sulla mia pagina personale di Facebook e se lo stesso non avesse scatenato una vivace quanto accesa discussione tra i miei amici. Questo significa che la felicità ci sta a cuore. E’ un argomento caldo. Allora, ho pensato, parliamone. Tanto io, qui, faccio considerazioni come se fossero pensieri a voce alta, che possono essere condivisibili come no, ma possono anche essere lo spunto per un confronto.

Il mio post recitava così:

Io sono felice.
Quando non lo sono è perché sono smemorata e mi dimentico di quanto io sia davvero profondamente felice.
Poi me lo ricordo. E sono felice.

Qual è il significato di questo messaggio? Con queste parole sto dicendo che la mia vera essenza è quella di una persona felice. Io sento la felicità, come qualcosa che mi appartiene, che è in me, senza bisogno di cose particolari. Mi capita spesso di pensare ‘sono felice’ senza motivo apparente. Non lo so quante persone sentano questa cosa, non l’ho nemmeno mai chiesto. Voi cosa sentite?

Però capita che io mi senta anche triste, frustrata, ansiosa o preoccupata, ma quello che volevo dire  con il mio post è che questi stati d’animo non sono il contrario della felicità, bensì una momentanea amnesia del mio stato di felicità. E quando dico ‘profondamente’ intendo che è qualcosa che è davvero difficile da sradicare da me. Io la felicità la sento nel DNA. Io sono nata felice.

Lo so che state sorridendo scettici. Mi sembra di vedervi, che scrollate la testa pensando che io sia un po’ folle. Ma ho le prove di quello che sto dicendo. La vita non è stata facile, mai; le avversità tante e a volte davvero dure, le situazioni più complesse le ho fronteggiate a testa alta e con il sorriso. Certo, sono caduta, ho pianto, ho gridato. Ma il giorno dopo ho trovato la forza di andare avanti. Ma non sopravvivendo, bensì vivendo. Ogni attimo, ogni ora, ogni giorno, ogni esperienza, impegno, fatica, avventura la vivo come un tassello dell’immenso puzzle della mia vita, che mi definirà per quella che sono.

Il confronto tra i miei amici è stato variegato. C’è chi sostiene di non essere felice, chi come me se lo dimentica, ma di notte se lo ricorda (si vede che fa i bilanci della giornata), chi afferma che la vera felicità duri poco perché è intensa ed effimera.

Giuseppe sostiene che bisogna prendere le cose con filosofia, Claudia che bisogna essere felici di ciò che si ha e Luana afferma che sono le piccole cose a renderci felici. Carmen ha una visione di insieme e scrive che la curiosità verso la vita e la gratitudine verso ciò che già abbiamo siano buoni presupposti per sentirsi felici, oltre al fatto di non avere troppe aspettative.

Ognuno ha un pensiero diverso sulla felicità, come dice Claudia, è soggettivo.

Luana riassume poi in un concetto quello che si sta argomentando:

C’è la felicità che ti fa traboccare di gioia, che ti riempie il cuore e l’anima, quella che ti fa mancare il fiato, quella che vorresti urlare a squarciagola, quella che non ti fa toccare i piedi per terra…. e quella mite, quella che ti fa sorridere, quella che rende piacevole la giornata, quella che ti aiuta ad andare avanti a piccoli passi e ti fa dimenticare il momento no o la giornata storta….

Già, se ci arriva una telefonata che abbiamo vinto un milione di euro gridiamo di pazza gioia, se la persona che ci piace da impazzire o di cui ci siamo innamorati si dichiara a sua volta sentiamo un colpo al cuore e una indefinibile sensazione di felicità. Un cambio di lavoro agognato, la nascita di un figlio, rivedere una persona cara. Sono tutti attimi. Momenti felici, più che vera e propria felicità. Perché lo sappiamo che basta davvero poco per offuscare quei momenti e se la felicità non la coltiviamo dentro di noi non sarà sufficiente la somma di quegli attimi per farci sentire felici.

Io credo che le persone si dividano tra felici e infelici. Alle persone felici può accadere qualsiasi cosa che tornano ad essere felici, le persone infelici, invece, continuano ad esserlo, anche se vincono un milione di euro, anche se sposano la donna/uomo dei sogni, anche se hanno figli stupendi, lavori soddisfacenti e amici sinceri.

Ho cercato sul dizionario la definizione di ‘felicità’ e ne ho trovate diverse:

La Treccani: “Stato e sentimento di chi è felice”, eh, però bella scoperta!! Anche se poi nella definizione in enciclopedia aggiunge : “Stato d’animo di chi è sereno, non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato” , un piccolo passo avanti, ma ancora troppo poco per ritenerci soddisfatti.

Dizionario di Economia e Finanza (2012): “Misura del benessere individuale, connessa anche con caratteristiche genetiche, fattori socio-demografici e culturali, fede religiosa, orientamento politico, fattori economici, compresi il livello di reddito e lo stato occupazionale”; interessante, anche loro, come me, scomodano i fattori genetici. Non mi trovo invece completamente d’accordo sui fattori economici perché mi è sembrato di vedere più gente felice nelle povere isole di Zanzibar e Capo Verde, che in tante nostre città super moderne e super accessoriate. Però è ovvio, e non lo metto in discussione, che uno stato economico adeguato permette quella serenità che a volte si può chiamare felicità. La fede religiosa, per me atea, è un mistero, ma le riconosco proprio il potere di demandare alla volontà di un’entità superiore gli accadimenti della nostra vita terrena, facendosene una ragione. La fede è sicuramente una grande forza.

Wikipedia:” La felicità è lo stato d’animo (emozione) positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri”. Qui si fa interessante. Davvero se soddisfiamo tutti i nostri desideri siamo felici? Non è forse vero il contrario? Cioè che a volte continuare a desiderare ci fa sentire più vivi? Ambire a migliorare la nostra vita, la nostra condizione economica, sociale, culturale non ci rende più attivi, più energici, più curiosi? E poi una volta ottenuto quello che abbiamo tanto desiderato non può capitare che ci sentiamo più svuotati che felici? Mi viene in mente il proverbio che ci dicevano da bambini: “Chi troppo vuole, nulla stringe”.

Ma forse il labile divario tra chi è felice e chi non lo è, sta proprio qui. Tra chi sa che tutti i suoi desideri sono stati soddisfatti e chi invece non è mai contento. Certo, dipende dai desideri.

Mi ha colpito un’amica che mi ha confessato di desiderare un figlio. Immensamente. Di volere una famiglia. Una vita normale. Non che la sua vita non la sia, normale. Lavora, è autonoma, ha una casa, tanti amici. Riempie le sue giornate di corsi, attività, sport mentre tutto quello che vorrebbe, invece, è qualcuno che la fermi. Che riempia quei vuoti che lei affanna con mille progetti pur di non fermarsi a pensare. Non potrei dire che mi sembra infelice, io la vedo così bella, solare, energica. Eppure non ha soddisfatto, per ora, quello che per lei, forse, è un suo desiderio primario. Però se dovessi far pendere la bilancia per lei, propenderei  per felice.

Alcune  amiche lo hanno detto anche a me: che faccio troppe cose, che riempio i miei vuoti, che non ho pace.Non ultima l’essermi lanciata in questa avventura del blog, ma quello che non sanno invece è che scrivere mi provoca un’intima felicità. Così come tutte le altre cose in cui mi sono cimentata. Forse è vero che ci sono vuoti incolmabili e che più o meno inconsapevolmente li riempiamo di tante cose, chi con progetti, chi con oggetti, fama, successo, notorietà, ma ciò non significa che averne consapevolezza ci debba far sentire infelici.

Mi sono limitata nella ricerca perché alla parola felicità su Google si trovano migliaia di link e definizioni. Ne hanno parlato filosofi, sin dall’antichità, scrittori e poeti di tutti i tempi, registi, attori e  cantanti. Persino Albert Einstein, che di mestiere faceva tutt’altro, si è trovato a scrivere due bigliettini con due pensieri sulla felicità, dati a un fattorino al posto della mancia e che sono stati battuti all’asta, a Gerusalemme nell’ottobre del 2017, rispettivamente per 1,3 milioni di euro e 203 mila euro e recitano così:

“Una vita calma e modesta porta più felicità della ricerca del successo abbinata a una costante irrequietezza” e “Quando c’è una volontà, esiste una via”.

Alla fine tutto è relativo. Ognuno deve e può cercare la propria felicità, senza però farsene ossessionare, perché se quella che crediamo un’irraggiugibile felicità ci offusca la vista rischiamo di perderci quella che può essere la vera felicità. Il dono della vita e il suo goderne appieno.

La felicità è un modus vivendi, un’atteggiamento, uno stato mentale. Un gene nel DNA che abbiamo alla nascita, ma che possiamo anche imparare, se lo vogliamo.

E io la trovo anche qui, ogni volta che cerco e scrivo  #unacosabellaalgiorno.