Domenica 8 luglio si è concluso il terzo Junior Camp Europeo della European Amputee Football Federation (EAFF) a cui Marco ha partecipato per la prima volta in qualità di portiere.
Vi avevo già parlato di questa realtà in un mio precedente articolo di aprile, che potete rileggere QUI, in cui avevo raccontato come siamo entrati in contatto con la nostra Nazionale Amputati e della prevista partecipazione al Camp, ma ora posso tirare le somme e parlare delle impressioni e delle emozioni che abbiamo provato.
Diverse testate giornalistiche e le associazioni stesse hanno dato grande risalto all’importante evento e scritto articoli e fatto interviste e video, ma io vi farò entrare dalla porta di servizio e vi racconterò l’esperienza vissuta sulla nostra pelle. Ovviamente vi inserirò a fine articolo tutti i link degli articoli più belli e più importanti pubblicati sulle testate on line.
Da mamma di un bambino disabile,che ha affrontato negli ultimi due anni un percorso di accettazione della sua condizione, non nascondo che avevo anche dei timori sulla partecipazione di Marco. Temevo che il trovarsi in mezzo alla sola disabilità lo facesse sentire maggiormente ‘diverso’. I percorsi attraverso cui ognuno di noi può elaborare la disabilità, sia dalla nascita o per mezzo di incidente, sono sicuramente diversi e se un adulto può esprimere una volontà, un bambino si affida a noi, genitori, che sicuramente cerchiamo di fare il loro bene ma a volte procediamo per tentativi. Ecco io mi sentivo così, fiduciosa ma timorosa. L’esperienza di Correggio mi aveva indicato la strada, ma ora si giocava la partita importante. Sarebbe stato utile? Bello? Edificante? O controproducente?
Premetto, per chi non conosce Marco, che mio figlio ha una grande predisposizione per il contatto umano, è estroverso e chiacchierone e gli piace cercare di comunicare anche in altre lingue. Perciò confidavo nel fatto che la presenza di bambini provenienti da ben 10 nazioni,di cui tre di lingua inglese, avrebbe stimolato la sua curiosità e la sua voglia di interagire.
Ebbene il secondo giorno ho avuto la mia risposta e mi si è gonfiato il cuore di gioia alla consapevolezza di aver tentato la giusta strada. Marco mi ha detto così: “Sai cosa c’è di bello, mamma? Che qui nessuno mi chiede cosa ho fatto alla mia mano o cosa mi è successo”.
Avevo fatto centro. La sua disabilità è diventata ‘trasparente’ e nessuno l’ha notata. Nessuno gli ha fatto le noiose domande a cui lui si è stufato di rispondere: “Niente, sono nato così”. Non interessava a nessuno. E a lui non interessava la storia degli altri bambini, li ha visti semplicemente per quello che sono: dei bambini! Non ha guardato cosa mancava loro…ma spesso mi faceva notare le loro caratteristiche.
“Mamma hai visto Will che occhi azzurri che ha?”, “Mamma, quel bambino inglese ha un sorriso dolcissimo, vero?”, “Mamma, quel bambino irlandese sprizza una simpatia con quell’aria pacioccosa!”. Ecco. Questi sono i bambini. Vedono oltre. Cerchiamo di impararlo anche noi.
Certo, questi bambini sono l’esempio vivente della resilienza. Sono andati lì sul campo a giocare a sfidare qualsiasi pregiudizio che li vorrebbe tristi a guardare gli altri correre. Nessuno di noi può sapere i loro percorsi e non glieli chiederemo, non gli chiederemo in quale modo e in quale momento hanno accettato di non avere una gamba o un braccio, ma li guarderemo e basta. Li vedremo contendersi un pallone con tutta la loro tenacia e determinazione, combattere in maniera molto fisica per rubarsi la palla e infine lanciare la stampella per terra, con stizza, quando perderanno un gol sotto porta.
Li ho visti correre, saltare, sudare, ascoltare l’allenatore, lanciarsi sui palloni, giocare sui prati, tirarsi l’acqua addosso e ridere. Stupendi.
Se dovessi dire la cosa che non dimenticherò mai di questa esperienza è l’incessante ticchettio, cadenzato,delle stampelle sui selciati; ma non lo associo a un immagine triste, vedo anzi i 70 bambini correre verso gli spogliatoi, sento “tic, tic, tum”, “tic, tic, tum” provenire da tutte le direzioni e vedo la gioia.
Nel viaggio di ritorno, sul treno, ho dato a Marco il compito di scrivere un tema, per raccontare le sue aspettative, l’esperienza vissuta e cosa gli ha lasciato. Premetto che gli ho chiesto il permesso di pubblicarne un pezzetto, così come tutte le cose che ho riportato, e quindi vi lascio con le impressioni di Marco, dodicenne, portiere under 16 della Nazionale Amputati Italiana.
.All’inizio non avevo capito bene cosa fosse e pensavo fosse una piccola esperienza. Poi, i giorni prima di partire per il Junior Camp, mia mamma me lo ha spiegato bene e ho capito che era una cosa seria e ufficiale.
C’erano dieci nazioni a partecipare, Italia inclusa, tra cui Inghilterra, Irlanda, Germania, Georgia, Grecia, Irlanda, Polonia, Scozia e Turchia.
Per l’Italia eravamo sette di cui tre portieri e quattro giocatori. Sistemati in Hotel di sera c’è stata la cerimonia di apertura dove ci hanno diviso in tre gruppi: gialli, blu e rossi. La fascia d’età dei gialli era dai 5 ai 10 anni, quella dei blu dagli 11 ai 13 e quella rossa dai 14 ai 16.
Ho conosciuto molte persone italiane ma anche straniere e mi è piaciuto molto comunicare in inglese.
La mattina dopo ci siamo svegliati e ci siamo andati ad allenare presso il Centro Sportivo Paralimpico “Tre Fontane”.
Gli allenamenti erano belli tosti ma mi piacevano molto. Ce n’erano due al giorno: uno dalle 9 alle 11 e l’altro dalle 17.30 alle 19.30. Fu così per tre giorni e l’ultimo giorno ero sfinito!
Durante questo Camp ho imparato molte tecniche da portiere nonostante io sia centrocampista nella mia squadra (n.d.a. GSD Olimpic Pra’ Pegliese). Ho imparato tecniche di tuffo, tecniche per bloccare la palla, tecniche d’uscita.
Questi quattro giorni sono stati una bellissima esperienza e ovviamente voglio continuare ad allenarmi e tra quattro anni potrò finalmente giocare nella Nazionale di Calcio Amputati e portare la mia nazione alla gloria (modesto,eh?).
Una cosa divertente è che io ho paura della api e delle vespe e al Tre Fontane c’è l’erba vera, non sintetica, ad un certo punto ero in porta fermo e ne avevo quattro che mi giravano intorno e da una parte ho sconfitto una mia paura.
Ho omesso l’inizio che raccontava come abbiamo conosciuto la Nazionale e quando gli hanno fatto l’intervista di cui va molto fiero e che quindi riporto QUI.
Concludo invitandovi a condividere più possibile questo post per far conoscere questa bella realtà e per far conoscere ad altri bambini o ragazzi questa possibilità. Marco ha un sogno, lo ha detto, portare il suo paese alla gloria ma occorre una squadra giovanile. Il progetto è appena iniziato, parliamone, informiamoci, portiamo i nostri figli a giocare a calcio.
Infine non dimenticate di tifare Italia ai prossimi mondiali di Messico 2018, dal 24 ottobre al 10 novembre. La nostra Nazionale Italiana Calcio Amputati merita tutto il nostro sostegno e supporto.
Forza Italia!
Video di presentazione del Camp
Highlights della prima giornata, da pagina Fispes
Video della giornata conclusiva, pagina facebook EAFF